di Alessandro Rico
Il
16 maggio, sull’Indipendenza, Matteo
Corsini ha commentato
un intervento dell’arcivescovo di Chieti-Vasto, monsignor Bruno Forte, sui
doveri contributivi del cittadino e la necessità di costruire un sistema
fiscale più equo. Dato che sono d’accordo su tutto quello che ha scritto Corsini,
e visto che lo ha scritto in modo chiaro ed efficace, non credo sia necessario
aggiungere altro. Mi limito ad approfondire quanto l’autore afferma su Cristo,
«che non ha mai imposto con la forza a nessuno» la solidarietà.
È un punto di importanza fondamentale: la preoccupazione dei cattolici di ridurre le eccessive diseguaglianze, costituendo un fondo comune per implementare dei servizi di pubblica utilità, è non solo condivisibile, ma perfettamente compatibile con il mercato; come sostiene Antiseri su Avvenire, «la Grande Società non solo può essere solidale ma lo deve anche essere», perché si fonda su un ordine astratto in cui gli individui possono perdere le posizioni che avevano precedentemente acquisito, maturando un pericoloso malcontento che solo un minimo livello di sicurezza sociale può arginare. Ma allora dov’è il problema? Il problema è il pregiudizio, figlio di un’ingenua statolatria, secondo cui questi servizi debbano essere gestiti dallo Stato in un regime di monopolio. È ragionevole contribuire per tutelare se stessi e gli altri dalla perdita imprevista di certi vantaggi economici, ma non è detto che demandare allo Stato l’erogazione di quei servizi rappresenti la soluzione più efficace.
Monsignor
Forte parla di una fiscalità equa, ma sottolinea giustamente Corsini, al fondo
della proposta del prelato agisce la convinzione che «avere di più» sia una
«colpa». La ricchezza non è un’usurpazione, semplicemente perché l’economia non
è un gioco a somma zero – come il sistema arcaizzante di Rousseau, secondo il
quale appropriarsi di qualcosa significa sottrarlo indebitamente a qualcun
altro –. E allora non c’è ragione, per cui un’imposta sul reddito debba essere
preferita a una sui consumi: anzi, giacché la qualità principale del fisco dovrebbe
essere di non intaccare la libertà, tassare una persona quando decide
volontariamente di acquistare un bene, la lascia tendenzialmente più libera che
non sottrarle una parte di ciò che guadagna.
D’altronde,
le storture di un tale sistema redistributivo non portano solamente, come
denuncia Matteo Corsini, alla formazione di due classi (pagatori assoluti e
beneficiari assoluti). C’è un inconveniente più profondo che dovrebbe stare a
cuore ai cattolici, i quali si sono ridotti finora ad applicare astrattamente
un’etica a un sistema economico che non si sono sforzati di capire – su questo,
spiace per Antiseri, ha ragione Cubeddu –: se lo scopo di un cristiano è
suscitare negli uomini la solidarietà, chi ha detto che il monopolio dello
Stato sui servizi e l’obbligo contributivo giovino a qualcosa? Cristo, a
differenza dello Stato, non ha mai usato poteri coercitivi per obbligare
qualcuno a fare l’elemosina. La storia dimostra piuttosto che dove vige una «solidarietà
di Stato», si incoraggiano il parassitismo e l’illusione che sia possibile
vivere ognuno a spese degli altri; mentre prima che negli Stati Uniti venissero
partoriti i programmi Medicare (decenni
avanti Clinton e Obama), diversi benefattori si occupavano dell’assicurazione
sanitaria degli indigenti – è nota, d’altro canto, la propensione alla
filantropia di molti miliardari d’oltreoceano.
Insomma,
più la solidarietà è imposta, più si afferma l’egoismo; dove i poveri sono
abbandonati a loro stessi è probabile che l’empatia sia maggiormente eccitata,
ma la scommessa è rischiosa. La giusta via di mezzo è quella suggerita dal
liberalismo classico: non lo Stato «minimo», bensì lo Stato «limitato», in cui
tutti versino una quota della loro ricchezza per garantire se stessi e gli
altri. Quel che fa la differenza, però, è che i poteri pubblici non impediscano
(e anzi incoraggino) i privati a erogare, in maniera concorrenziale, quei
servizi finanziati dalle tasse; e che i cittadini possano esercitare il maggior
controllo possibile sull’uso di queste risorse comuni, da affidare preferibilmente
a enti e istituzioni locali e non allo Stato centrale.
L’obiettivo
di diffondere il benessere si persegue meglio mediante il mercato che non
mediante il cosiddetto Stato sociale. La condizione indispensabile di un
mutamento antropologico autentico è la libertà: nella coercizione attecchiscono
solo ingiustizia, incomprensioni e insofferenza. Se nel Vangelo i pubblicani
sono paragonati alle prostitute, un motivo ci sarà. Con tutto il rispetto per
Equitalia.
Pubblicato il 22 maggio 2012
Negli USA, prima di medicare (e medicaid) se avevi soldi ti curavano, se non li avevi ti davano al massimo un cerotto.
RispondiEliminaI due spiccioli che alcuni dei miliardari davano in beneficenza non bastavano certo per curare la popolazione indigente.
Il commento qui sopra ignora evidentemente che il problema americano e' diverso. Le cure di emergenza sono date a chiunque si presenti ad un pronto soccorso. Sono le cure di routine o quelle a lunga durata che fanno problema a quanti non sono assicurati.
RispondiEliminaC'e' pure da dire che gli Americani pagano molte meno tasse, pero', tanto che oltre il 40% della popolazione NON paga tasse.
La sanita' poi e' materia degli stati, non del governo federale.
Infine: le charities americane non risolvono il problema, certamente. Ma occorre dire che chi si ritrova in condizioni di emergenza trova spesso aiuto presso questi enti di carita' privati, sia religiosi che laici.
La tradizione filantropica americana non e' cosa di poco conto come il post qui sopra farebbe intendere. Certo la filosofia che ancora prevale negli USA e' quella liberale (non "liberal") di uno stato leggero. Obama e la sinistra democratica stanno cercando di cambiarla radicalmente.
Stefano, il post sopra parla evidentemente di sistema americano prima di Medicare (1965).
RispondiEliminaall'epoca ai non assicurati (=ai poveri) non erano garantite ne' le cure di routine ne' quelle di emergenza.
Non é solamente il probblema il tipo di tasse e per cosa si usano, ma il livello delle tasse. Quando lo stato si prende il quasi il 50% dell´entrate di chi lavora la libertá é in pericolo.
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