Mentre la cinematografia italiana
si muove tra centri sociali (Diaz, ACAB) e disillusi j’accuse contro l’alta borghesia (La grande bellezza), gli USA sono ancora capaci di regalarci
un’idealistica perla intrisa di “Dio, patria e famiglia”.
American Sniper è l’ultima regia di Clint Eastwood, emblema della
destra paleo-conservatrice e libertarian.
Ispirato all’autobiografia di Chris Kyle, il più “prolifico” cecchino della storia
militare americana – 250 vittime dichiarate, 160 accertate, capace di abbattere
un nemico da 2 km di distanza – il film è una sagace apologia dei valori
tradizionali dell’America più autentica, l’epopea di un eroe romantico,
disposto a sfidare la disillusione della nazione, combattendo per quello in cui
crede. Una patria, una fede, una famiglia, che sembrano indentificarsi in un
unico grande ideale: la convinzione, forse un po’ da figlio della Guerra
Fredda, che l’America sia la terra della libertà, il baluardo della civiltà
occidentale.
L’idea di essere la nazione eletta, chiamata a proteggere le sorti
dell’umanità, rimane inalterata, anzi, si rafforza, nel mezzo dei profondi
sconvolgimenti della guerra, che Eastwood rappresenta senza tema di contraddizione.
Non c’è soluzione di continuità tra il manicheo patriottismo di Chris
Kyle/Bradley Cooper e l’atrocità del conflitto iracheno, che ha diviso
l’opinione pubblica come ai tempi del Vietnam e ha lasciato ferite indelebili
sui soldati. La difesa dell’interventismo di Bush non si trasforma in un
sottoprodotto propagandistico. Al contrario, l’abilità di Clint Eastwood sta
nel contestare i luoghi comuni delle “anime belle” liberal, prodighe di moralismo, ma ignare che sul campo ci si trova
persino a dover decidere, in poche frazioni di secondo, se sparare a un bambino
che brandisce una granata e minaccia un plotone di Marines.
Quintali di common sense tipicamente americano
proclamano che bene e male sono nettamente distinti, che i mezzi termini
dell’etica liberal sono insidiosi,
che l’America deve recuperare le sue profonde convinzioni, il suo prestigio
internazionale e quel coinvolgimento morale che la politica di disimpegno di
Obama ha intaccato. Contro l’umanitarismo astratto, Clint Eastwood difende la
genuinità dei legami di sangue, il senso di appartenenza e d’identità. Perché
c’è un’America che guarda alle sue radici e non vuole rassegnarsi a un mondo
multipolare, ma vuole restare la guida del mondo libero ed è ancora pronta a
offrire in sacrificio i suoi figli.
Probabilmente, si tratta solo di un
nostalgico panegirico di un’epoca cavalleresca, in cui il cecchino Kyle non è
più Tristano ma solo Don Chisciotte. La
Leggenda non morì sul campo come un cavaliere medievale, ma fu assassinato
nel 2013 da un militare affetto da disturbo post-traumatico, uno di quei reduci
mutilati o psicologicamente segnati dalla guerra, che dopo il congedo aveva
iniziato ad assistere. Ma quando le immagini originali del corteo funebre
mostrano schiere di ammiratori che sventolano la bandiera a stelle e strisce,
non si può non avvertire che l’America del texano, dello yankee o del pioniere,
è ancora viva.
E non si può fare a meno di chiedersi se
l’Italia dei Marò prigionieri in India, che fu capace di oltraggiare i caduti
di Nassiriya, che bistratta il suo popolo e conduce un’imbarazzante politica
estera, stretta nei gangli di un’Europa inconcludente, meriterebbe certi eroi.
Uomini come Fabrizio Quattrocchi, che sfidò il suo giustiziere con il celebre:
“Adesso ti faccio vedere come muore un italiano”. E al cinismo che quest’Italia
sembra aver spesso ispirato, fa da contraltare un’America che ha la forza di
chi si sa dalla parte del bene, che ai tempi di Rambo condannava l’ingiustificata insofferenza della sinistra nei
confronti dei reduci del Vietnam e oggi, con American Sniper, sferza la timidezza di Obama e l’ambiguità di quei
politici alla Bill De Blasio, pronti a tacciare di razzismo la polizia di New
York e a soffiare pericolosamente sul fuoco di conflitti sociali mai estinti, per
raccogliere un pugno di voti.
Questa America sa bilanciare giustizia e
aggressività, non è pecora ma non si trasforma neppure in lupo, come il padre
di Kyle catechizza i suoi figli, nelle scene iniziali del film: “Vi prendo a
cinghiate se diventate pecore o lupi”. In fondo, la speranza che Clint Eastwood
riesce a trasmettere, è che quest’America ritrovi le sue ragioni. Ed è una
speranza che non può non contagiare pure chi quell’America ha imparato ad
amarla.
Hai fatto una recenzione stupenda e condivido tutto quello che hai scritto.
RispondiEliminaComplimenti!